L’empatia è un importante strumento metodologico per l’antropologo, ma è anche una utilissima pratica quotidiana, che ci può aiutare nel migliorare i rapporto con gli altri e a vivere una vita migliore.
Mi capita spesso di dover spiegare cosa fa un antropologo culturale per vivere. Non è semplice. A volte riesco a spiegare quello che faccio, a volte mi rendo conto che non ci riesco. Logicamente la maggior parte delle volte è dovuto alla mia incapacità di usare concetti semplici e condivisi altre volte mi rendo conto che si instaura una dinamica nella quale in realtà non ho intenzione di farmi capire, forse perché c’è stato qualcosa che mi ha seccato. Chissà…
Ma non è di questo che voglio parlare oggi, il tema è l’empatia, quello che considero uno strumento importante del nostro lavoro. L’immagine scelta illustra esattamente quello che spesso mi sono trovato a fare: descrivere un qualcosa da vari punti di vista. Quando si tratta di oggetti materiali come quello della figura, è tutto relativamente semplice, basta perdere l’omino, portarlo dall’altra parte e fargli vedere che da quel punto di vista è un 9 (o un 6).
Per questo il territorio, in tutte le sue sfumature simboliche è diventato un oggetto centrale nelle mie ricerche: diciamo che esistono dei referenti ‘concreti’ cui far riferimento. Quando invece “l’oggetto” di riferimento è immateriale le cose si complicano non poco. Logicamente se uno proprio non vuole spostarsi c’è poco da fare.
Per riuscire a decentrare il punto di vista, ossia vedere le cose da varie prospettive occorre spostarsi, e in questo l’empatia può essere di grande aiuto. Cercare di sentire le emozioni che influenzano l’interpretazione dell’altro. È un esercizio rischioso, se ci allontaniamo dal metodo rischiamo di prendere delle sonore cantonare e finire per prendere fischi per fiaschi, cosa notoriamente molto più grave del prendere lucciole per lanterne tipico del nostro lavoro. L’empatia serve a creare ipotesi e domande, che devono essere corroborate sistematicamente da dati e sottoposte al dubbio metodico.
L’empatia però, non solo è un utile strumento durante la ricerca e nelle interviste. È anche un elemento essenziale del rapporto tra esseri umani e fondamentale nelle relazioni quotidiane.
Quando parliamo di noi, raccontiamo come ci sentiamo, spesso capita che la risposta inizi con:
“Ma non devi sentirti così…”
“Dovresti vederla in modo differente…”
“Sbagli a…”
“Non è possibile sentirsi così per questo…”
“Guarda il lato positivo….”
Devi! Improvvisamente quello che segue diventa irrilevante, la chiusura è immediata. Il ‘come ci sentiamo’ viene schiacciato dal ‘come dovremmo sentirci’. La maggior parte di noi sa esattamente ‘come dovrebbe essere’ e quello che dovrebbe sentire. Ci è stato ripetuto sin dalla nascita, ribadito in mille novelle, telefilm e film. Se per caso riusciamo a dimenticarcelo c’è un mondo di persone che si prodiga per ricordarcelo.
Il problema è proprio che non siamo come dovremmo e non sentiamo quello che ‘è giusto’. Siamo altro. E ci fa soffrire non poterene mai parlare quasi non interessi a nessuno come siamo.
Tempo fa vidi questo video e mi è piaciuto molto. (Ottimi sottotitoli in italiano)
Empatia e comprendere non significa giustificare o approvare, è ben differente dal buonismo. Ognuno di noi ha le proprie opinioni e credenze. Non vengono messe in dubbio dal fatto di ascoltare quello che l’essere umano di fronte ci dice.
Anche nei rapporti professionali, ci vuole poco ad essere ematici ma fermi. Mi è capitato tempo fa di ricevere una mail minacciosa del tipo: se non ci invia i documenti entro domani non saremo responsabili delle conseguenze.
Ero io in errore, dato che avevo assicurato più volte che avrei inviato il tutto in tempo. Ma questo è un momento complesso e di alta pressione ed ho difficoltà nel fare tutto. Empatia è quel pizzico di sforzo che ci fa uscire dal IO sono al centro dal “ma guarda quello non mi ha ancora inviato le cose poi IO affogo” e glielo faccio capire dicendo: guarda che se non mi mandi tutto entro oggi poi non so se riesco a farti le cose. In pratica facendo leva sul senso di colpa
E se invece la reazione fosse stata: “Sarà successo qualcosa che non mi ha ancora inviato le cose? Avvisiamolo delle possibili conseguenze. Con tutta la buona volontà, se entro oggi non mi arrivano i documenti mi sa proprio che non riuscirò ad evadere la pratica.” Il senso è lo stesso, ma sono due universi differenti
L’esperienza forse insegna. Molti anni fa ho avuto un comportamento simile. Ero arrabbiato per una mancata consegna che mi metteva in difficoltà in una presentazione ufficiale dei risultati di un progetto, e l’ho fatto pesare in una telefonata. Per scoprire che la persona era appena rientrata dal funerale della madre.
Non riesco ancora ad essere completamente umano. Ma continuo a provarci.