Il libro di Emilio Barbarani “Chi ha ucciso Lumi Videla” é la storia di un lungo periodo di tensioni e attività all’interno dell’Ambasciata Italiana a Santiago del Cile. La storia inizia nel dicembre 1974, poco più di un anno dal colpo di stato dell’11 settembre 1973, con il quale i militari, con l’appoggio della CIA rovesciano il governo di Salvador Allende, regolarmente eletto con elezioni democratiche nel 1970, e instaurano la dittatura militare di Augusto Pinochet.
E’ un periodo di brutale repressione in vari paesi Sud America, volta a stroncare una coscienza popolare che si stava allora risvegliando, rivendicando il diritto ad una vita decente ed alla partecipazione. Cile, Argentina, Bolivia, Brasile, Paraguay, Uruguay e Peru sono i paesi più noti dove con l’Operazione Condor è stato attuato un vero e proprio genocidio con oltre 70.000 vittime tra uccisi e dispersi. Sistema era volto all’eliminazione fisica di tutti gli oppositori prevalentemente individuati nei simpatizzanti di sinistra e del partito comunista, ma che ha coinvolto intellettuali e persone sospettate di essere simpatizzanti di idee troppo democratiche e progressiste. Il Cile è anche stato il laboratorio della sperimentazione del modello neoliberalista della Scuola di Chicago in una delle forme più estreme, applicato appunto dai Chicago boys, una generazione di intellettuali formatesi a Chicago.
Barbarani porta lo sguardo lucido ed appassionato e illumina la quotidianità del personale diplomatico di quegli anni, sui rapporti tra le istituzioni e racconta quelle storie sconosciute ai più, di azioni e iniziative prese a rischio della propria incolumità. Lo sguardo di un protagonista del periodo in cui la Calle Miguel Claro 1359, (sede dell’Ambasciata Italiana) per molti era l’unico simbolo della speranza, l’ultimo luogo che ancora accoglieva rifugiati, perpetuando una tradizione che fa onore al nostro paese.
Il testo, in uno stile fresco e avvincente, alterna lo sguardo di funzionario all’inizio della carriera diplomatica che si trova di fronte numerose scelte morali gravide di possibili conseguenze e quello di un giovane attratto dalle bellezze locali e dalle affascinanti luci della città più Europea del sud America.
Questo libro per me è stato importante, mi ha consentito di accedere ad un altro tassello di quell’immenso puzzle che è il passato del Cile, necessario per comprendere il presente. Dal 2007 al 2011 mi sono recato spesso in Cile per un progetto di supporto ai diritti Indigeni Mapuche ed allo sviluppo sostenibile ma sopratutto finalizzato a cercare di incanalare, con successi alterni, le tensioni legate alle rivendicazioni dei diritti ancestrali in alcune aree, su un percorso di negoziazione e non di conflitto aperto. Conosco Santiago, anche se non così bene come vorrei, e un poco la storia del paese. Sono entrato negli uffici dell’ambasciata Italiana per i colloqui di rito. Leggere il libro di Barbarani mi ha riportato in luoghi familiari, rafforzato la sensazione di eventi stratificati, di compresenza della storia. Mi ha consentito di accedere a motivazioni, ragioni e complessità che spesso non sono nascoste a chi non è dell’ambiente.
Ma esiste anche un’altra dimensione che rende questo libro di una attualità sconvolgente. L’Italia e l’Europa si trovano di fronte ad una vera ondata di richieste di asilo politico, provenienti questa volta da un continente molto più vicino. Oggi le persone invece di rifugiarsi in ambasciata, arrivano direttamente sul nostro territorio, fuggendo da paesi dove imperano regimi totalitari e violenti o dove i conflitti tra le parti ricadono duramente sui civili.
Le scelte che Barbarani e il console si sono trovati a dover fare quotidianamente, i loro dilemmi, le loro decisioni, rappresentano le scelte che la politica oggi si trova ad affrontare, i dubbi, le incertezze e le argomentazioni sono quelli che dovrebbero far riflettere noi tutti.
Sto lavorando ad una ricerca sull’accoglienza dei Rifugiati dell’ Emergenza Nord Africa in Toscana, per intenderci quelli arrivati dalla Libia, classificati ‘lo Tsunami’ dei rifugiati. Questo lavoro mi sta obbligando a confrontarmi con storie di ordinaria follia, rendermi conto di quanto sia importante e urgente mettere a punto un sistema di accoglienza e di gestione dei rifugiati serio ed efficiente, di uscire dall’emergenza creata artificialmente e di tenere in conto delle esigenze di queste persone che spesso sono vittime di forze più grandi di loro.
Consiglio la lettura caldamente a tutti, anche e sopratutto a chi non ha simpatie per i movimenti di sinistra, dato che le scelte dei protagonisti non sono dettate da una ideologia, ma da una profonda e solida umanità. Umanità che dovrebbe essere SEMPRE alla base delle scelte per non correre il rischio di essere responsabili della morte di centinaia o migliaia di persone. Veri e propri genocidi, commessi in funzione di ideologie, di religioni, del guadagno o peggio ancora dell’indifferenza, che per qualcuno ha marcato la differenza.
Quello che ci troviamo di fronte in molte situazioni del continente Africano è un ‘Cile’ all’ennesima potenza, dove a commettere atrocità non è solo la DINA, ma chiunque abbia un arma. Per molti la speranza è ancora la “calle Miguel Claro 1359” ma il muro da saltare è largo decine di miglia marine e il rischio di “beccarsi una palla in testa” forse non è il peggiore che corrono.
Un pensiero speciale per le donne le quali, oltre ai rischi che corrono i loro compagni di sventura maschi, si devono difendere dalle attenzioni sessuali dei nemici, degli amici e di molti degli uomini con i quali vengono in contatto prima, durante e dopo l’arrivo sul territorio Italiano.